Il sonno è fondamentale per mantenere una buona qualità della vita. È coinvolto in un equilibrio psicosomatico delicato e il suo ciclo varia con l’età. Per molte persone abbandonarsi all’addormentamento o non svegliarsi in una di queste fasi di sonno leggero non è semplice.
Si stima difatti che una persona su cinque è insonne. Se consideriamo gli over 60, l’incidenza sale al 50% negli uomini e al 30% nelle donne. La sua forma più grave e cronica, che comporta sintomi associati e un importante peggioramento della qualità della vita invece e un’interferenza con le normali attività diurne accade invece all’incirca nell’8-12% della popolazione. La Sleep Research Society dell’Università di Oxford sostiene che l’incidenza di questa patologia è aumentata del 150% nel periodo 2006-2013, e ulteriormente peggiorata durante e dopo la Pandemia COVID-19.
L’insonnia è una condizione che determina un peggioramento della qualità del sonno e si manifesta in molteplici forme: dall’insonnia da addormentamento episodica fino all’insonnia cronica associata ad altri disturbi psichiatrici.
Per trovare la definizione clinica precisa di “Insonnia” possiamo fare riferimento ai due manuali diagnostici internazionali più utilizzati: il DSM 5 (Manuale dell’Associazione Americana di Psichiatria) l’ICD 10 (l’International Classification Disease dell’Organizzazione mondiale della Sanità). La sua definizione però è variabile e non sempre sovrapponibile così da creare abbastanza confusione nella definizione dell’epidemiologia, incidenza, eziologia e terapia.
Secondo l’International Classification of Sleep Disorders (ICSD-1) è definita come “difficoltà nell’iniziare e\o mantenere il sonno” o come sensazione di “sonno non riposante” ed è distinta in numerose entità sindromiche, comprese fra le “dissonnie estrinseche”, le “dissonnie intrinseche”, i “disturbi del ritmo sonno-veglia” e i “disturbi del sonno associati a malattie di tipo medico o psichiatrico”.
Alcuni studi recenti hanno cercato di valutare l’insonnia con criteri più unitari che sono orientanti nella definizione dell’insonnia clinicamente significativa e riportano: presenza di sintomi diurni quali stanchezza, sonnolenza, disturbi della concentrazione e sintomi notturni quali difficoltà di addormentamento, risvegli ripetuti, risveglio precoce e sonno non riposante per almeno 3 volte alla settimana per un periodo superiore al mese.
Sono molti i fattori alla base dell’insorgenza dell’insonnia nelle sue differenti forme di manifestazione primarie o secondarie. È fondamentale soprattutto nelle situazioni croniche e clinicamente importanti escludere potenziali condizioni primarie scatenanti quali alcune patologie psichiatriche, neurologiche o mediche.
Nelle insonnie primarie possiamo vedere delle alterazioni neuro-ormonali conseguenti a diversi fattori psicosomatici che determinano la preoccupazione del paziente e inducono un livello di stress cronico (bassa serotonina, alto cortisolo) e rimuginio (alta noradrenalina) con alterazione del ritmo sonno veglia (melatonina) e conseguente possibile paura dell’insonnia.
Come riassume un recente articolo pubblicato sulla rivista italiana di psichiatria i circuiti coinvolti sono molteplici e complessi, ma coinvolgono essenzialmente i neurotrasmettitori GABA (acido gamma ammino butirrico), la serotonina, l’istamina e la noradrenalina.
L’insonnia si può classificare a seconda della durata e del momento di insorgenza.
L’insonnia può essere a seconda della durata:
L’insonnia può essere a seconda del momento di insorgenza:
I farmaci più utilizzati per la cura dell’insonnia sono i farmaci benzodiazepinici, antistaminici e antidepressivi. Tra questi, secondo una ricerca recente, il trazodone è forse uno dei pochi farmaci che ha un target neurotrasmettitoriale molteplice (inibizione 5HT2, antistaminico, serotoninergico) funzionale per la gestione dell’insonnia nel breve periodo, per questo sempre più utilizzato. Le benzodiazepine invece hanno un target limitato agendo specificatamente solo sul recettore per il GABA che induce un effetto inibente sull’attività nervosa e sono i farmaci in assoluto più prescritti per la gestione dell’insonnia, spesso in maniera impropria.
Le benzodiazepine a breve emivita sono un valido rimedio per la gestione nel breve termine dell’insonnia ma spesso vengono utilizzate anche nella terapia cronica e nelle sottospecie a lunga emivita. Ciò comporta un aumento degli effetti avversi quali sedazione, atassia, disturbo della memoria e deficit cognitivo (aumento rischio Alzheimer) senza una dimostrata efficacia nella cura del sintomo.
L’intervento terapeutico di gestione dell’insonnia deve tenere in considerazione la giusta terapia farmacologica, imprescindibile in alcuni casi clinicamente importanti, ma anche l’igiene del sonno (le attitudini comportamentali corrette per favorire il fisiologico ritmo circadiano e la qualità del sonno), le terapie complementari da integrare tra cui la fitoterapia assieme agli importantissimi percorsi di crescita personale e di psicoterapia.
La fitoterapia per i disturbi del sonno è un capitolo presente nelle materie mediche da centinaia di anni e ad oggi le piante che dalla tradizione hanno trovato spazio nella ricerca scientifica di efficacia sono la valeriana presente come farmaco da banco da anni, l’escolzia californica, la passiflora, il luppolo estrogenico, la camomilla miorilassante, gli olii essenziali di lavanda e melissa come il biancospino per l’eretismo cardiaco e il tiglio come rimedio psicosomatico per eccellenza senza dimenticare l’iperico, fitoterapico antidepressivo d’elezione utile anche nell’insonnia.
A seconda della gravità e del momento di insorgenza dell’insonnia, potremo scegliere differenti forme estrattive delle droghe vegetali. Nell’insonnia episodica o lieve saranno sufficienti infusi preparati secondo le modalità indicate in farmacopea a base di valeriana, camomilla, luppolo e tiglio, invece nell’insonnia più ingravescente saranno necessarie piante in estratto secco al fine di poterne somministrare un adeguata concentrazione di principi attivi presenti nel fitocomplesso.
Nell’insonnia da addormentamento è importante integrare anche l’utilizzo della Escolzia dal potere ipnoinducente e invece nell’insonnia da risvegli ripetuti sono fondamentali le piante che possano gestire l’insonnia che spesso è sottostante all’insonnia quali la Passiflora e la Lavanda.
Secondo il Metodo FP la risorsa più da sostenere nell’insonnia è quella Nera connessa all’endorfina e alla melatonina: la risorsa della pace, del rilassamento e del lasciar andare. Tra le piante menzionate che possono essere alleate del paziente insonne e che possono essere classificate nelle piante a sostegno della Risorsa nera troviamo la valeriana o la melissa che assieme all’effetto sedativo danno un’azione antistress grazie alla modulazione del cortisolo (melissa) e allo stimolo del GABA, la Camomilla, la Passiflora e la Lavanda che gestiscono lo stress e di conseguenza favoriscono il rilassamento corporeo. Tutti effetti che consentono alle persone di lasciar andare i pensieri ricorsivi e le tensioni così da favorire il riposo.
Il cambiamento di stagione è un momento di transizione non solo per la natura circostante, ma anche per il nostro corpo e la nostra mente.
La gestione dei disturbi psicosomatici è un compito complesso e multidimensionale che richiede un'ampia gamma di approcci terapeutici.
Due dei principali pilastri in questo campo sono la fitoterapia e la psicofarmacologia.
L'omeopatia è un sistema di medicina alternativa basato sul principio della similitudine.
Il concetto fondante l'omeopatia è infatti quello di trattare i sintomi di una malattia con piccole dosi di sostanze che, se somministrate a dosi più elevate, produrrebbero sintomi simili in individui sani.
La fitoterapia è una pratica millenaria che utilizza le piante per migliorare la salute delle persone.
Fondata sull'impiego di estratti vegetali, tratti da piante curative, la fitoterapia mira a supportare il paziente nel suo percorso di guarigione.
La Meditazione, in particolare la meditazione Mindfulness, è uno degli strumenti di cura ormai riconosciuti dalla comunità scientifica grazie all’ampia mole di letteratura disponibile.
Non solo, il crescente interesse verso la meditazione mindfulness continua a dare il via a numerosi studi per indagarne le reali potenzialità, in particolare, in ambito medico-terapeutico.
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